IL DIVANO GRIGIO (2005)


La telefonata giunse quasi attesa, come se in quella maledetta giornata non mancasse che lei.
Scusa, gli disse, con quel suo modo di fare che voleva intendere tutto il contrario. Scusa di che? Balbettò lui, che sapeva già cosa avrebbe dovuto sentire.
Avevamo detto, va be’, avevi detto che non avremmo dovuto più sentirci, ma, davvero, non ne potevo più e dovevo sentire la tua voce...
Già, pensò lui e si immaginò un ipotetico ascoltatore della conversazione, con le sue belle cuffie in testa, a commentare “ma guarda un po’ ‘sto stronzo che belle pretese ha...”
E adesso ti senti meglio? Domandò invece, cercando di non pensare all’ascoltatore.
Oh, sì, mi sentivo soffocare... Sai è bello risentirti, poterti parlare... E’ passato tanto tempo...
A lui non sembrava tutto quel tempo, ma anche se nessuno lo poteva vedere, alzò le spalle e fece sì con la testa.
Ne abbiamo parlato anche troppo e lo sai. Era la sua solita arringa di difesa, ormai stanca e poco convinta, che usciva così, da sola, senza che nemmeno la pensasse. E poi cosa c’era da pensare? Lo aveva piantato, così, su due piedi. No, non era in piedi: era seduto su quel maledetto divano grigio e per un po’ non era nemmeno riuscito ad alzarsi.
“Sai, Stefano era un po’ che mi stava dietro... Non volevamo farti del male...“ e mille altre parole inutili che scorrevano sul bordo liscio del divano e cadevano dall’altra parte, senza rumore, solo un sussurro di fondo. Si può essere piantati anche peggio, si disse in quel momento e pensò pure di aver digerito bene la cosa. Meglio Stefano di un altro, no?
Ma io ho bisogno di te, e lo sai... La voce di lei lo riportò in sincrono col suo orologio. Era rimasto senza argomenti e le barricate erano inutili, di fronte a quell’onda di piena. Ma perchè non importa a nessuno di come mi sento io? Soffiò via senza parlare, le mani inerti lungo i fianchi. Poi si sedette sul divano grigio e si lasciò sprofondare.

FINE

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